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DiMagnus

Henri Cartier-Bresson

Nato in Francia a Chanteloup-en-Brie nel 1908, Henri Cartier-Bresson è forse stato il più grande fotografo di tutti i tempi. In grado di catturare il momento cruciale, le sue fotografie sprigionano la forza prorompente dell’attesa, ogni scatto muove dalla stoica pazienza del suo autore.

È stato tra i maggiori esponenti della fotografia umanista, il cui scopo era mostrare gli esseri umani inseriti nella società, con una maggiore attenzione per la vita di strada, la routine quotidiana e le classi sociali più svantaggiate.

Durante la guerra civile in Spagna e la Seconda guerra mondiale lavorò come fotoreporter documentando presso i luoghi di conflitto e acquisendo sempre più notorietà. Fu così che si ritrovò a realizzare i ritratti dei più noti protagonisti del 1900, come Matisse, Picasso o Marie Curie. Fu anche il primo giornalista occidentale a visitare l’URSS dopo la morte di Stalin e il primo fotografo a esporre le sue fotografie al Louvre di Parigi.

In tarda età tornò a dedicarsi alla pittura, la sua prima passione, senza mai rinunciare al tentativo di catturare il momento decisivo anche nei suoi dipinti. Si spense nell’agosto del 2004 a 95 anni.

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Il primo “fotografo”

La prima camera oscura viene ufficialmente presentata il 19 agosto 1839 all’Accademia delle Arti Visive di Parigi: è questo il giorno che oggi usiamo indicare come nascita della fotografia. In realtà la prima fotografia viene scattata tredici anni prima da Joseph Nicéphore Niépce, è la famosa “Vista dalla finestra a Le Gras”, un’eliografia su lastra di stagno ottenuta dopo un’esposizione di ben 8 ore.

Costretto ad abbandonare la carriera militare per motivi di salute, Niépce si era dedicato anima e corpo alle tecniche di fissaggio delle immagini tramite la camera oscura. Per sviluppare la sua invenzione, collabora con Louis Daguerre, pittore di scenografie teatrali famoso per l’uso del palcoscenico semitrasparente, il cosiddetto diorama. Sperimentando con la camera oscura alla ricerca di un modo per fissare l’immagine proiettata, inizia un sodalizio lavorativo con Niépce che dovrà terminare da solo per la morte improvvisa di quest’ultimo.

È per questo che la prima vera tecnica che consente il fissaggio permanente di un’immagine viene chiamata dagherrotipo. Si tratta di una camera oscura che restituisce un’immagine rovesciata grigiastra e resistente alla luce. Presenta però due problematiche: i materiali utilizzati, rame, argento, tiosolfato e mercurio, la rendono da un lato estremamente costosa, dall’altro molto pericolosa per la salute.